Condanna superiore a quanto chiesto dal Pm chiesto 5 anni e mezzo. Assoluzioni e prescrizioni per gli altri.
MELFI. Una condanna a nove anni di reclusione, tre e mezzo di più di quelli che aveva richiesto il Pubblico Ministero. Il Tribunale di Melfi (presidente Andrea Putaturo, giudici Paola Barracchia e Antonio Riccio) ha riconosciuto Antonio Sciarra di Palazzo San Gervasio colpevole dei reati di usura ed estorsione. Una raffica di assoluzioni e prescrizioni hanno visto cadere innanzitutto l’ipotesi di associazione a delinquere e poi le partecipazioni al reato degli altri imputati per i quali il Pm aveva invece chiesto pene (dalla moglie di Sciarra, Maria Serafina Colabella, a Michele Saponara, Vincenzo Martino, Savino Basta), e come da tutti richiesto (dal suo legale Romano Russo, ma anche dal Pm Renato Arminio e dal legale di parte civile Pietro Mazzoccoli) si è conclusa con un’assolu - zione piena anche la vicenda di Angelo Padula.
Anche se la vicenda giudiziariamente, potrà avere strascichi (dopo la lettura delle motivazioni, che arriveranno entro 90 giorni, la difesa potrebbe proporre appello) la sentenza rappresenta comunque un passo importante nel tracciare la storia di quel giro d’usura che aveva per «epicentro» Palazzo San Gervasio, ma che propagava i suoi effetti in gran parte della Basilicata Nord, spingendosi fino a Potenza.
La condanna più pesante rispetto a quanto richiesto dal Pm Arminio è stata dovuta al fatto che Il Tribunale ha evidenziato la prevalenza del reato di estorsione su quello di usura, applicando la più pesante pena prevista per il primo reato, col risultato che anche l’applicazione dell’induto (con un condono di tre anni) lascia una pena da scontare pari a sei anni di reclusione.
Sciarra resta, quindi, la figura «grigia» di quel turpe giro. Le difese degli altri imputati (Pietro Carilli per Colabella, Gervasio Cicoria per Basta e Saponara. Sergio Lapenna per Martino e Romano Russo per Angelo Padula) sono riuscite invece a far cadere gli elementi sulla base dei quali la pubblica accusa aveva chiesto le condanne per i loro assistiti. In particolare, l’appassionata arringa dell’avvocato Cicoria è riuscita nella sua intenzione di minare la credibilità di alcune affermazioni emerse nel corso del processo e dimostrare come, al di là del ruolo di Sciarra, altre persone non avessero partecipato e, soprattutto, beneficiato dell’attività usuraria, al punto tale che alcuni usurati erano in possesso di titoli di credito di qualche indagato, dati a garanzia di alcuni debiti per l’acquisto di merce.
Sostanzialmente, comunque, la sentenza rappresenta una vittoria per la parte civile, e in particolare per Giovanni D’Er - rico, l’uomo (assistito dall’avvocato Mazzoccoli) che con le sue denunce portò all’emer - sione del giro d’usura, di cui era rimasto vittima.
Dalle indagini, coordinate dall’ispettore di Polizia Antonio Mennuti, emerse un orizzonte ben più vasto, fatto di soldi che giravano tra una trentina di conti correnti e libretti di risparmio, intestati a varie persone, e presso una ventina di banche, almeno 16 in Italia (tra Potenza, Picerno, Venosa, Palazzo San Gervasio, Taranto e Milano) ma anche all’Estero, in Slovenia e a Mont e c a rl o.
Un giro, insomma, difficile da tracciare con certezza e che avrebbe coinvolto imprenditori, artigiani e commercianti tra Filiano, Picerno, Venosa, Palazzo San Gervazio, Potenza, Avigliano, Genzano, Lavello, Montemilone, Cerignola, Spinazzola e Salerno.
tratto dalla Gazzetta del Mezzogiorno