Forte è l’avversione manifestata dal sindaco Federico Pagano, nei riguardi del progetto di ricerca idrocarburi convenzionalmente denominato “Palazzo San Gervasio”, proposto dalla AleAnna Resources LLC. Con il documento protocollato al n. 1458, in data 15 maggio 21010, parere ex art. 8 della Legge Regionale n. 47 del 1998, ed indirizzato all’Ufficio Compatibilità Ambientale della Regione Basilicata, il sindaco della comunità dell’Alto Bradano  motiva tale avversione in una serie di punti, primo fra tutti l’assenza di idonee infrastrutture che garantiscano il trasporto degli idrocarburi in sicurezza. A questo si aggiunge l’incompatibilità dell’attività di estrazione con le produzioni agricole in generale e, in particolare, con la viticoltura, diffusissima nella zona. Se tanto non bastasse, paventa la compromissione delle risorse naturali del sottosuolo, quali falde acquifere di cui la zona è ricca, utilizzate dagli imprenditori agricoli per l’irrigazione dei campi. Non da meno è la mancata previsione di strumenti per la rilevazione dell’inquinamento e di misure di intervento in caso di emergenze ambientali direttamente dipendenti dall’attività di estrazione, come anche l’inesistenza di politiche volte a salvaguardare biodiversità e ambiente con la diffusione di impianti di cattura e stoccaggio della CO2 e dei veleni, o la totale assenza di risorse finanziarie aggiuntive per risollevare e sostenere il settore agricolo e tutti i comparti ad esso collegati, che rappresentano la primaria fonte di reddito. Infine Pagano esprime contrarietà anche alla luce della negativa esperienza della Val d’Agri, la cui aria, acqua e persino il famoso miele, sono sempre più inquinati di idrocarburi, benzeni e alcoli. A sostegno dell’assunto esposto, si richiama la ricerca dell’Università della Basilicata pubblicata dall’International journal of food science and technology in cui si rileva anche che i limiti di emissione di idrogeno solfato sono diecimila volte superiori alla norma.
Forse, per la prima volta, ci si batte per non vedere il proprio territorio sacrificato al mito dell’estrazione petrolifera, foriera di distruzione ambientale e di briciole di royalties, che non ripagano la comunità dello scempio perpetrato, tanto più, che non vi sono ricadute occupazionali dirette sulla comunità interessata.