I LUOGHI SIMBOLO DEL PAESE MULTIETNICO

Viaggio nel Sud , dove altre Rosarno sono pronte a esplodere

FRANCESCA PACI
INVIATA A PALAZZO SAN GERVASIO (Pz)
Ho paura, alla fine ci spareranno dalle case anche qui», ammette il diciannovenne ivorense Gibril riavvolgendo il sacco a pelo nella masseria abbandonata tra i campi che circondano Palazzo San Gervasio, al confine tra Basilicata e Puglia, dove secondo il Cnel il livello d'integrazione sfiora i minimi nazionali. Gibril è al suo debutto agrario, ma sullo sfondo incombe il fantasma di Rosarno, la rivolta, tutti contro tutti. Quando due mesi fa ha perso il posto da saldatore a Vicenza, dov'era emigrato nel 2007, si è rimboccato le maniche e ha raggiunto l'esercito di sanculotti che, seguendo il ciclo delle stagioni, raccoglie i frutti maturi del tacco dello stivale. Spalle indispensabili, nell'Italia in cui l'invecchiamento della popolazione è direttamente proporzionale alla voglia di zappare la terra. Eppure quei mille centrafricani, magrebini. rumeni, che come Gibril «campeggiano» alle porte di Palazzo San Gervasio, sono una bomba a orologeria: per quanto il paese chiuda gli occhi, il tic tac turba le languide notti estive.

Sebbene affrontata sempre come un'emergenza, l'alluvione agostana di braccianti stranieri investe da 20 anni questo Comune lucano di 4500 anime adagiato sulle alture del Vulture che continua a spopolarsi al ritmo di 50 addii ogni sei mesi. Nel 1999, orgogliosa d'aver dato i natali a Lina Wertmuller ma non al primo sciopero d'immigrati d'Europa, l'amministrazione destinò ai raccoglitori di pomodori, che fino ad allora avevano soggiornato davanti alla fontana del fico, il casale sequestrato a un clan della Sacra Corona Unita. Peccato che nei 15 mila metri quadri senza servizi igienici dove faticherebbero a pernottare in 250 se ne ammassino oltre mille. Chi sgozza l'agnello per il Ramadan, chi beve in barba al Corano, chi rivende a prezzo da strozzino le sigarette e chi è pronto a impugnare il coltello per comprarne una. In 11 anni la loro permanenza è costata ai cittadini 800 mila euro ed è ancora emergenza piena.
«Quel centro è un non luogo, una città ambulante, impossibile pensare all'integrazione di centinaia di persone che si fermano un mese e si spostano dietro alla maturazione di olive, angurie, arance», nota l'imprenditore agrario Domenico Cancellara. Gibril e i suoi amici, spiega, sono indispensabili specialmente quando piove: «Il pomodoro è il più deperibile dei frutti. Le macchine, che presto sostituiranno il lavoro umano, non funzionano se il campo è bagnato e l'unica alternativa è la raccolta a braccia». Riempiendo 10 cassoni da 30 quintali l'uno i braccianti possono ambire a 35 euro al giorno ma, pompando come presse, i maciste africani guadagnano anche quattro volte tanto. Basta chiamare «lavoro a progetto» l'ingaggio a cottimo, ufficialmente vietato, e il gioco è fatto con la soddisfazione di padrone e caporale.
Quanto ci vorrà prima che a Palazzo San Gervasio l'umiliazione degli sfruttati e il disagio degli sfruttatori loro malgrado si combinino alla maniera di Rosarno, come paventato dalla presidente del Comitato Shengen Margherita Boniver durante la visita al centro? Secondo Gervasio Ungolo, ex assessore ambientalista e proprietario del vivaio Verde Idea, il vaso è colmo: «Oltre ai mille immigrati del centro ce ne saranno altrettanti sparsi nelle masserie abbandonate, sgobbano per almeno 10 Comuni lucani, ma Palazzo San Gervasio è l'unico ad accoglierli». Passeggiando sotto il sole che gli ha cotto la pelle vagheggia la soluzione: «Il paese si spopola ed è pieno di case vuote, mettiamoci dentro i braccianti e, uscendo dalla logica del ghetto, vinceremo la paura». Sì, perché i palezzesi non sono affatto rilassati. D'accordo, il centro si trova 4 chilometri fuori dal centro ma è poca roba e, come diceva il lucano Beniamino Placido, il razzismo è inversamente proporzionale alla distanza.
«Sono tutti uomini, giovani, forti, io ho paura», confessa il falegname R. uscendo dal bazar del marocchino Yassin, alle spalle del Municipio. Passi per lo straniero che conosci: ma il resto è buio pesto. «Il tempo stringe e non sappiamo come sistemare questi ragazzi, quel posto non è degno», concede il vicesindaco Paolo Palumbo. Dei 190 mila euro stanziati quest'anno poco meno della metà sono stati assegnati a un'associazione privata che ha recuperato 17 case: «Possiamo sistemare 300 persone, per gli altri abbiamo bisogno d'un coinvolgimento maggiore della Regione».

Solo che da queste parti, dove la disoccupazione è al 12,5%, i soldi non ci sono. «L'unica soluzione è ammettere che quella struttura con sei bagni alla turca per mille persone è un'infamia e rinunciare», chiosa Luciana Forlino, volontaria della Caritas. Mancano 10 giorni alla raccolta: vincerà il fantasma di Rosarno o l'economia dell'emergenza farà saltare la miccia?