I contadini, gli ebrei, la shoah e, Matera la Capitale Europea della Cultura
- Contadini -; ad apostrofare così, in massa, i cittadini di Palazzo San Gervasio, fu per primo Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione Nazionale del ventennio fascista, in una lettera indirizzata al Prefetto di Matera, tal Piretti. L’ espressione, in bocca al gerarca non era certo neutrale, quello stesso anno, il 1938, aveva appena firmato il “Manifesto della razza”, atto preliminare delle famigerate leggi razziali che avrebbero accompagnato diverse decine di migliaia di ebrei ai forni crematori. Purtroppo non ha lasciato documenti in proposito e quindi non possiamo sapere se nella falsa scala di valori del pover’uomo i contadini di Palazzo San Gervasio precedessero o seguissero gli infelici ebrei. Di fatto non li trattò molto meglio. Infatti l’anno successivo con la legge del 13 luglio 1939, n° 1082, vennero privati del loro patrimonio più prezioso: la Biblioteca e Pinacoteca Camillo d’Errico, che fu così trasferita a Matera. Non si trattò di un regalo da poco. Infatti l’80% dei beni artistici della Basilicata appartiene alla Pinacoteca Camillo d’Errico, resta, perlopiù nelle chiese, poco altro. Il poco lusinghiero giudizio del ministro e la successiva legge, entrambi manifestamente razzisti, fondati cioè sul presupposto che i contadini sono ignoranti, non capiscono l’arte e la cultura e quindi le opere della raccolta d’Errico, a loro destinate con testamento da Camillo d’Errico, sarebbero state meglio altrove, non erano naturalmente, com’è sempre in questi casi, assolutamente disinteressati. Nascondevano, e malamente, interessi materiali concreti; il razzismo era la mutanda strappata con cui coprivano la volontà di dare alla borghesia materana un compenso per lo stato di estremo degrado in cui versava la loro cittadina. Illuminante, a proposito, resta la descrizione di Matera, contemporanea ai nostri avvenimenti, fatta da Carlo Levi in Cristo si è fermato ad Eboli: lì i bambini morivano come mosche a causa della malaria. Mancavano non solo le opere di bonifica, troppa grazia, ma anche il chinino. Tali insufficienze vennero compensate, in qualche modo dal regime fascista, con il trasferimento forzoso della raccolta d’arte in questione che veniva così strappata dalla sua sede testamentaria nella casa palazzinata di Corso Manfredi 86 a Palazzo San Gervasio. Bambini mai diventati uomini e uomini derubati dei loro diritti fondamentali, restano queste in estrema sintesi le gloriose fondamenta su cui l’intellighenzia materana fonda una malintesa idea di cultura. E tuttavia alla miseria umana non c’è limite: infinita e imperscrutabile come la volontà di Dio, non può essere neppure descritta. In ossequio a questa verità profonda non azzarderemo alcun aggettivo accanto ai due protagonisti principali della rinnovata infamia a danno di questa sfortunata collettività: i ministri Calderoli e Bondi. I due esemplari sono emblematici di quel “disastro antropologico” denunciato dalla Chiesa, al punto che accusarli di razzismo significherebbe implicitamente, assolverli. I fatti o meglio i misfatti. Con Legge del 18 febbraio 2009, n°9, veniva abrogata con migliaia di altre leggi ormai inutili perché non più applicate, anche la famigerata legge 1082 del 1939. Inutile dire della felicità dei contadini di Palazzo San Gervasio: “c’è finalmente giustizia anche per noi ed anche in Italia” è stato per molti mesi il commento ricorrente. Illusi. Il mese di Dicembre dello stesso 2009, il ministro Calderoli, inseriva nel Decreto Legislativo n°178 (salva leggi), alcune di quelle stesse leggi innanzi abrogate e, su segnalazione del ministro dei Beni Culturali Bondi, anche la legge 1082/39. Ora, dicono, che l’onorevole Bondi, oltre che ministro della repubblica, sia anche uno squisito poeta dall’animo soave e delicato. Qui proprio non si persuadono come il soggetto possa aver effettuato la segnalazione sopra accennata al ministro per la Semplificazione Normativa per chiedere che la legge 1082/39 fosse recuperata e dichiarata “indispensabile la sua permanenza in vigore”. Forse, ipotizzano, il motivo perché la legge 1082/39, abrogata in un primo momento, sia stata subito recuperata, non va chiesto solo ai due ministri sopracitati, il campo delle responsabilità va esteso oltre la loro già chiarita caratteristica intellettuale. Un’indicazione in tal senso, viene dalle dichiarazioni recenti dello stesso sindaco di Matera, Salvatore Adduce: la testa più brillante della sinistra lucana. In un momento di giustificata euforia, la presentazione lo scorso 17 c.m. della candidatura della sua cittadina a Capitale Europea della Cultura, confessa che “… per essere scelti dovremo fare una forte opera di lobby … , in primis a Roma e poi a Bruxelles, … .” Che sfacciataggine. In effetti deve essere occorsa veramente una forte opera di lobby per far dichiarare indispensabile una legge-provvedimento, la 1082/39, che pur composta di due soli articoli, ne viola ben tre di quelli della Costituzione: il 3, 18, 42. La riflessione appena accennata, in una nazione come la nostra che ha smarrito non l’etica o la morale, troppa grazia, ma più semplicemente il comune senso del pudore non creerà certo alcun problema ai nostri lobbysti. E, tuttavia, su queste premesse, anche a voler trascurare, per un momento, il giudice che sta aspettando a Berlino, resta fondato il dubbio su cosa i nostri intellettuali a piede libero porterebbero in Europa, quale cultura? Apprendiamo dalla stampa che il Comune di Matera, per la Giornata della Memoria, organizzerà, per alcune classi delle scuole medie, una gita in uno dei campi di concentramento nazisti. Iniziativa certo meritoria che serve ad allontanare dai ragazzi qualsiasi rigurgito razzista. E comunque, per fortificare quei giovani virgulti contro ogni tentazione futura in tal senso, sommessamente consigliamo gli amministratori materani, di fargli visitare anche il famoso Museo Nazionale d’Arte Medievale e Moderna, a Palazzo Lanfranchi, proprio a Matera. E’ lì infatti che potranno ammirare il frutto maturo di quello stesso razzismo, altrove condannato dai loro impudenti genitori: i quadri della Pinacoteca Camillo d’Errico, strappati due volte ai cittadini di Palazzo San Gervasio con la violenza di una legge dichiaratamente razzista.
Giuseppe D’Errico