«Prigionieri» in fuga dalla tendopoli di Palazzo San Gervasio.
PALAZZO SAN GERVASIO - Walìd guarda i suoi connazionali con aria afflitta. Vorrebbe avvicinarsi al pesante cancello verde, ma ha paura che i poliziotti lo scambino per un tunisino in fuga. E lui che la libertà in Italia se l’è sudata sa che è meglio non rischiare. Il suo italiano non è perfetto ma si fa capire: «Ti prendono, non ti fanno spiegare, poi chiarisci, ma intanto sei finito là dentro». E indica il centro di accoglienza che il ministero dell’Interno chiama «struttura alloggiativa provvisoria». «Un modo per non chiamare prigione quella che in effetti lo è», dice Angela Lombardi, ex deputato comunista e unico esponente del mondo politico che ha deciso di passare la giornata di ieri davanti ai cancelli della tendopoli. «Non mi fanno entrare», dice scuotendo la testa. Perché «nella struttura alloggiativa provvisoria vigono le stesse regole di un carcere», spiega un poliziotto. «Al primo posto qua dentro c’è l’ordine pubblico», dice un volontario della Croce rossa a due videomaker straniere giunte a Palazzo San Gervasio per documentare i metodi di accoglienza del governo di Silvio Berlusconi. I tunisini cominciano a svegliarsi. Hanno passato la notte viaggiando in pullman. A Palazzo San Gervasio sono arrivati tra l’una e le tre.
I carabinieri sono disposti su tutto il perimetro e non permettono agli immigrati di avvicinarsi alla rete che è stata innalzata e rinforzata nel corso della giornata. I poliziotti si mischiano nella folla. In giro c’è qualche agente del Corpo forestale dello Stato a cavallo e qualche finanziere. Il campo è molto controllato e pare sia impossibile trovare una via di fuga. Alcuni tunisini guardano con interesse due vigili del fuoco che tappano un grosso buco nella rete su un lato del centro che affaccia sulla strada. Sembrano studiare un modo per scappare. I poliziotti li invitano ad allontanarsi. E la pausa pranzo spinge tutti gli immigrati verso il centro del campo. C’è una tendostruttura molto grande adibita a cucina. Un interprete spiega ai tunisini che devono disporsi su due file e ritirare piatti di plastica e posate. Poi si sente un poliziotto urlare. Qualcuno ha rotto le finestre dei bagni, ha scavalcato la recinzione ed è riuscito a evadere. «Una decina», dicono. Ma la loro fuga dura poco. Nel giro di un’ora in sette vengono riportati al campo. Dopo poco i tunisini del centro sono di nuovo 483. Un ragazzo di colore si avvicina alla recinzione. Un immigrato riesce a porgerli un pezzo di carta e gli dice: «È il numero di mio fratello, digli che sono a Palazzo San Gervasio».
Altri 40 tunisini arrivano nel pomeriggio. Il pullman entra nell’area della tendopoli scortato. I nordafricani salutano i fotografi, sorridono. Ma non vogliono scendere. Hanno capito che da Palazzo San Gervasio trovare un mezzo per lasciare il Sud è difficile. Loro che avevano cercato a tutti i costi di scappare da Manduria ora sono finiti nella tendopoli più isolata. Alcuni di loro erano già in possesso di biglietti ferroviari per Roma, Milano, Bologna. Una trattativa viene avviata dai responsabili del campo e da un funzionario della polizia di Stato. Dodici ragazzi decidono di scendere. Gli altri restano seduti. Dopo un paio d’ore l’autobus ha di nuovo il motore acceso. Una colonna di auto della forze dell’ordine si dispone sulla strada che porta verso Spinazzola. Un commissario della polizia di Stato agita una paletta e fa uscire l’autobus. Lo seguono altre auto di carabinieri e polizia. La meta non è stata rivelata. Il pullman rientra nel campo quando ormai il sole è tramontato. Gli immigrati finalmente scendono. E il campo adesso appare pieno. Da un camion, però, vengono scaricate ulteriori tende da campo ancora imballate. Segno che ci sono altri tunisini in arrivo.
Fonte : www.lagazzettadelmezzogiorno.it