Proseguono nel silenzio della stampa i rimpatri di tunisini dal nuovo CIE di Palazzo San Gervasio. Originariamente destinato all'accoglienza dei migranti giunti per la raccolta stagionale, nello sperduto campo a 40 chilometri da Potenza sono stati rinchiusi oltre un centinaio di tunisini sbarcati a Lampedusa poi giunti a Napoli a bordo della nave Excelsior. Allogiati in tende da sei persone, con servizi igenici insufficienti gli immigrati aspettavano da due settimane notizie sul proprio destino senza aver ricevuto alcun tipo di informazione utile a precisare la propria posizione di fronte alle autorità, si dà infatti per scontato che costoro siano solo clandestini e non possano aver alcun titolo per ottenere un permesso di soggiorno. Grazie al contatto telefonico stabilito con uno dei migranti siamo al corrente degli avvenimenti nel campo.
La notte tra l'uno ed il due maggio, dopo la mezzanotte, tutti i presenti a Palazzo San Gervasio sono stati svegliati e portati in un ampio garage e qui divisi in due gruppi. Oltre una sessantina di loro viene portata via nella notte per essere imbarcata a Bari su due voli con destinazione Tunisi. Da notizie notizie provenienti dagli immigrati stessi, uno dei due voli sarebbe stato respinto dalla Tunisia e sarebbe rientrato a Bari. Non si hanno notizie ulteriori sul destino dei trenta non rimpatriati.
E' ancora emergenza umanitaria per la restante parte dei migranti, trentuno in totale. Infatti, quanti non sono stati trasferiti, rimangono ancora, a 48 ore di distanza, tuttora rinchiusi nel garage senza la possibilità di uscire, neanche per "l'ora d'aria". L'unica occasione per uscire è chiedere il permesso di essere scortati al bagno, poiché nel garage non sono presenti servizi igenici. Anche la luce solare scarseggia, il garage ha infatti solo alcuni insufficienti lucernai. Nella giornata del due maggio, la giornata passa tra speranza e rabbia. Speranza perché quanti rimasti sembrano (il condizionale è quanto mai d'obbligo) poter avere i requisiti per richiedere un permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare. Rabbia per le condizioni di disorganizzata ed irrazionale disumanità del trattamento loro riservato.
Le comprensibili proteste contro questa reclusione intollerabile sono sfociate oggi, 3 maggio, in una protesta che è stata sedata a colpi di manganello dalla polizia che controlla il campo. Vengono segnalate numerose persone con contusioni gravi a seguito delle cariche.
Le notizie che giungono dal campo, pur nell'impossibilità di riscontri diretti a causa della segretezza con cui tutto questo avviene, disegnano una situazione di grave violazione dei diritti umani delle persone recluse che si trovano in una condizione di totale a-legalità in spregio ai più elementari principi del diritto. Senza nemmeno il bisogno di richiamare l'articolo 13 della Costituzione italiana che recita ipocritamente: La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge (Commi 1 e 2) [...]. Da sottolineare che tale norma non si riferisce al cittadino ma alla persona umana e serve anche a definire le necessarie tutele a quanti si trovino a subire restrizioni di libertà. Al comma quarto infatti la norma fondamentale così prosegue: E' punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. Il fatto di trovarsi nel limbo di provvedimenti amministrativi assunti dal questore (ma in realtà decisi da vice-questori o funzionari di ancor più basso livello) esclude i malcapitati anche dalle tutele (in verità oggi sempre più fittizie) che dovrebbero essere garantite anche ai detenuti al 41 bis.