Palazzo: Come è morto un paese.
Alla luce di quello che è avvenuto e, purtroppo, di quello che continua a verificarsi, pare che questo non sia mai stato uno dei paesi più importanti della Basilicata, ma un contenitore da svuotare all’occorrenza per far arricchire gli altri. Probabilmente i più furbi, i più disonesti, i predatori, i ladri di professione, ai danni degli ignari cittadini, che continuano ad essere generosi sempre, pur di far sopravvivere quei quattro signorotti, appartenenti alle solite quattro famiglie, che hanno fatto sempre il bello e il cattivo tempo nel nostro paese. Per i giovani e meno giovani, incolpevoli di tutto ciò, ripercorriamo le tappe dei vari scippi e regali fatti a coloro che si sono ingrassati alla nostre spalle. Uno degli esempi più clamorosi avvenne il 1939, quando Palazzo con un decreto del ministro della pubblica istruzione Bottai sancì il trasferimento della collezione biblioteca e pinacoteca Camillo d’Errico a Matera. Fu quella la prima occasione di svendita o regalo di un bene posseduto da Palazzo, nel corso di più di settant’anni. Non sono bastate, sentenze, dispositivi di incostituzionalità della suprema Corte Costituzionale, leggi nazionali e leggine regionali per sanare questa ingiustizia, che è ancora oggi davanti agli occhi di tutti. Fu il primo patto scellerato sottoscritto da coloro che iniziarono a firmare il declino del nostro paese. Nel bel mezzo di questa festa in cui qualcuno godeva del prestigio del potere, essendo solo stato all’altezza di farsi accontentare o farsi avere ciò che era più giusto per lui, e non per l’intera collettività.
Lentamente, passati settant’anni, questa comunità sempre più sul lastrico o sul piano inclinato, continuò la sua deriva, il suo annullamento e il suo annientamento su altri fronti e su altri versanti.
Siamo alla favola dei Vigili del Fuoco dirottati altrove, perché la passata amministrazione non mise a disposizione dei locali idonei in grado di farli stazionare nel nostro paese, pur avendo quel polmone verde, chiamato bosco comunale, un’estensione ampissima, primo polmone verde della Basilicata. Da questo in tempi più recenti, dobbiamo giungere ai giorni funesti, in cui in assoluto silenzio perdemmo il presidio della Polizia Provinciale. Nessuno ha detto nulla. Nessuno sa nulla.
E poi la biblioteca comunale Joseph & Mary Agostine: a un giovane palazzese, emigrato a Boston nei primi del novecento, di professione barbiere, che aveva vissuto la sua infanzia con il sogno della pinacoteca, gli venne la brillante idea di lasciare tutti i risparmi di una vita, quasi due milioni di dollari, ai cittadini di Palazzo, per istituire una biblioteca comunale che portasse il suo nome e della moglie. Dal 1991, anno di apertura della biblioteca al 2011, di quei due milioni di dollari, investiti in uno speciale fondo americano (si arrivò con gli interessi quasi a quattro milioni), in un decennio, e tre amministrazioni comunali, non è rimasto più nulla, decretando di fatto la quasi chiusura della struttura. Poi si è passati alla vendita dei terreni e degli immobili comunali: ex macello di via delle Corse, oggi isola ecologica, la sede del Giudice di Pace, la caserma dei Carabinieri, la scuola elementare di via Filzi, etc. Alla fine ad aprile 2011 il tracollo. Da una decisione che non si capisce chi l’abbia concepita e presa, viene istituito presso l’ex campo di accoglienza di lavoratori stagionali un Cie (centro di identificazione ed espulsione). Qualche giornalista, esagerando, lo ha definito una nuova Guantanamo, buttando ancora fango sulla nostra comunità, ancora attonita, incredula e stupita di quanto accaduto, accusando l’amministrazione (che si proclama innocente), di non aver fatto nulla per evitare che per l’ennesima volta il territorio di Palazzo venisse violentato con questa nuova ubicazione di un carcere a cielo aperto. Non erano bastate le polemiche dell’anno scorso, quando il sindaco chiuse quella stessa area, che per dieci anni aveva accolto (indegnamente, e sperperato quasi un milione di euro) i lavoratori extracomunitari, definendola una stalla, decisione che causò il bivaccamento dei famosi raccoglitori di pomodori sotto le stelle, nei poderi abbandonati, senza che potessero usufruire delle più elementari condizioni igieniche e sanitarie. Palazzo città di patrioti e amanti del bello, dell’arte e della cultura, agli onori della cronache nazionali, non perché è patria dei Ciccotti, di Vincenzo, Giuseppe e Camillo d’Errico, ma perché rappresenta la Guantanamo americana, la più brutta pagina di storia della società cosi detta civile.
Concludendo, comunque, complimenti a tutti, felicitazioni a quelli che hanno voluto bene e amato questo paese, nel momento in cui hanno fatto sfoggio solo dei loro personali interessi e di carriere. Grazie a tutti coloro che saranno premiati sempre per gli alti meriti di generosità conquistati sul campo altrui. Grazie a tutti coloro che si sono prodigati, a qualunque titolo ad annientare questo paese e farlo diventare dolente, una comunità di perduta gente a cui, forse, domani non sarà riservata neanche più degna sepoltura, perché sarà svenduto persino il cimitero.
Lettera firmata
Articolo pubblicato su LiberoAccesso
121 giugno 2011