Sam lascia Palazzo San Gervasio nel 1952 con la sua mamma e quattro fratelli per raggiungere il padre, già a Montreal dal ’51. Aveva dodici anni e la sua vita ricominciava lontano da casa, in una terra sconosciuta e diversa. Oggi è proprietario di una catena di pizzerie in tutto l’Ontario e il Quebec.
di ANGELA DIVINCENZO
Dopo pochi anni, nel 1955, iniziò a lavorare in una azienda di camicie, prima come facchino e poi come contabile. «Fu un’esperienza assolutamente formativa. Mi insegnarono a tagliare la stoffa, persino a disegnare - racconta. Trascorsi in quella azienda un periodo importante e a soli 21 anni, con una produzione di 1500 dozzine alla settimana, coordinavo ben centoventicinque dipendenti». Divenne manager nel 1960, poi il matrimonio dopo pochi anni con Anna, nata in Canada ma da genitori lucani, di Palazzo San Gervasio come lui, e da lì la decisione di seguire le orme professionali del fratello che viveva in Messico: gestire una pizzeria. Una svolta che significò ben presto successo.
I negozi Pizza Nova cominciarono davvero ad occupare ogni angolo della città e il marchio divenne sinonimo di qualità della gastronomia italiana. La storia della famiglia Primucci, come quella di tante altre famiglie di origine lucana, ci racconta di fatto come sia cambiata l’immagine dell’emigrante. Oggi esperto imprenditore, uomo che grazie a impegno, coraggio e determinazione ha lavorato sodo riuscendo a garantire alla propria famiglia e a se stesso un futuro felice e sicuro. Ma nonostante il completo radicamento nella società canadese, il suo ruolo attivo nella costruzione di una identità sociale nord americana, Sam Primucci si sente italiano.
«Sono tornato in Italia dopo venti anni dal mio trasferimento e l’impatto è stato forte. A Palazzo non ho più legami, tutta la mia famiglia è qui, eppure – ribadisce con tono profondamente fiero – c’è un vincolo indissolubile, ogni volta che ritorno sento qualcosa, come un senso di appartenenza che non ha scadenza. Certo – puntualizza – questa patria mi ha adottato da bambino e le sarò sempre grato per le opportunità concessemi, l’accoglienza, la generosità».
Il discorso, poi, abbandona per un attimo il passato, il racconto della sua vita, della sua esperienza di emigrazione mentre Sam esprime le sue perplessità sul nuovo fenomeno migratorio, così diverso da quello a cui lui partecipò negli anni ’50 e sui segni che la globalizzazione potrebbe lasciare su uno Stato poco pronto ad accoglierla. «Il mondo è cambiato. E il Canada forse non aveva previsto questi mutamenti così repentini. Quel che avverto è una sorta di disagio, di difficoltà nell’adattamento. Il Canada – rassicura - ha ancora quelle enormi potenzialità di cui godeva un tempo, ma non è intelligente, non è pratico inviare in India, ad esempio, i tronchi dei nostri alberi che tornano qui dopo essere stati lavorati, per essere venduti come pavimento. E negli Stati Uniti sta avvenendo la stessa cosa. All’americano manca, oggi, quella potenza, quello scatto che lo ha fatto grande. Ecco, bisogna che le nuove generazioni sappiano ascoltare il vento di novità e di stravolgimento, se vogliamo, che soffia da un po’ di anni a questa parte e adeguarsi, vincere».
E a modificarsi, secondo Primucci, è stata anche la tipologia degli immigrati: «Oggi scendono all’aeroporto e ad accoglierli trovano l’ufficio immigrazione che dice loro cosa fare. Per questo devono ringraziare noi, che anni fa, senza alcun privilegio, abbiamo combattuto per queste cose. Contando solo sulle nostre forze, sopportando e superando momenti bui, discriminazioni».
Intanto il ristorante «Basilico», nato come lui stesso spiega da un capriccio «volevo cuocere la pizza nel forno a legna – racconta - e in poco tempo abbiamo messo su questo posto che è diventato luogo di incontro, pretesto per trascorrere del tempo insieme. È un ristorante senza padrone», continua a riempirsi di clienti. Non solo italiani, non solo lucani. «Ho incontrato gente meravigliosa nella mia vita, soprattutto in quel periodo così difficile. Ero un ragazzo e mi pesava non poter avere una vita “normale” – racconta Primucci. - Grazie alla scuola frequentai dei corsi speciali per correggere questo difetto, gli amici, molti dei quali italiani, non mi esclusero dal gruppo e grazie anche ai suggerimenti dell’allora sindaco di Toronto, che riuscii a conoscere e che aveva sofferto lo stesso problema, guarii completamente».