(2^ parte - da "Libero Accesso")

      di Nicola Forlino
Durante la settimana del nostro soggiorno ci spostiamo continuamente da un villaggio all’altro, inoltrandoci con i fuoristrada per molti chilometri nella foresta con la guida esperta dei missionari.
Lungo le strade “principali”, sentieri sterrati circondati da una vegetazione meravigliosa di piante tropicali (palme, banani, cajoù, papaia, aranci, cabazzèri …) impervi tanto da mettere a rischio anche la salute dei nostri robusti suv, si trovano capanne, isolate o disposte a piccoli gruppi, presso le quali bambini che giocano, donne che cucinano o fanno il bucato o riempiono l’acqua dal pozzo o intente a pettinarsi.
Gli uomini, i pochi che vediamo presso le capanne, forse i più “anziani” (qui la durata della vita in media si aggira intorno ai 50 anni!) che non vanno al lavoro nei campi, si godono la frescura dei grandi alberi che sovrastano le loro case spesso giocando ad una specie di dama …
La povertà di questa gente è indescrivibile: hanno capanne dai tetti di paglia o spesso ricoperte da lamiere arrugginite, si attivano ad erigere pareti di mattoni costruiti con il fango e fatti seccare al sole, si alimentano con il poco riso e con le patate dolci che riescono a coltivare, con la frutta raccolta nella foresta e con la carne degli animali da cortile che allevano allo stato libero.
 
Vivono scalzi e seminudi, senza acqua potabile, in una terra dove dilagano la malaria, il colera, l’HIV.

Ci spiegano che il salario medio per un’intera giornata di lavoro di un operaio corrisponde a circa 50 cent/€.
 
I pochi pozzi che vediamo presso le capanne sono stati scavati a mano ad una profondità di circa 4 metri e l’acqua viene prelevata di solito con un secchio legato ad una fune; sono pochi i pozzi chiusi ai quali è stata sistemata una pompa meccanica e che sono quindi “protetti” dall’inquinamento di agenti esterni.
 
Un momento di straordinaria commozione in tutti i villaggi visitati è quello della partecipazione alla santa messa. Il missionario si appresta a richiamare i fedeli con il suono della “campana” ( un cerchio di ferro della ruota di un’auto, appeso sotto la tettoia della chiesetta, percosso con un bastone) …
Arrivano fedeli di ogni età, ma soprattutto tantissimi bambini.
Tutti sono ben vestiti e puliti e molti hanno anche le scarpe ai piedi: è incredibile, pare che tengano questi indumenti custoditi da qualche parte per usarli solo nei momenti di festa!
Mi sembra di ritornare indietro nel tempo ai nostri anni 50-60, quando anche noi avevamo le scarpe ed i vestitini della festa ….
La partecipazione è straordinariamente gioiosa da parte di tutti. I canti e le danze sono interminabili.
All’offertorio si portano all’altare, danzando e cantando, i frutti della terra che il missionario donerà poi a qualche famiglia più bisognosa.
Al “segno della pace” non ci si limita, come qui da noi, a dare la mano ai vicini di banco: la chiesa diventa un brulicare di persone dove ognuno, al ritmo di un gioioso canto di pace, si sposta a stringere la mano o ad abbracciare ciascuno dei presenti.
La recita del “Padre nostro” avviene tenendosi tutti per mano come veri fratelli che si vogliono bene ….
 
Una mattina, dopo aver salutato con sincera cordialità davanti alla chiesa alcuni uomini musulmani, li invito ad entrare ed essi mi seguono, seppur tenendosi timidamente vicini a me nell’ultimo banco. Spinti probabilmente dalla curiosità per la nostra presenza, tra lo stupore compiaciuto dei missionari che al segno della pace vengono subito ad abbracciarli amichevolmente.
La percentuale di cristiani qui, nonostante il grande lavoro di evangelizzazione fatto negli ultimi decenni, è ancora molto bassa.
 
Mi fa rabbrividire nel poverissimo villaggio di UMAR COSSE, per me il più povero tra quelli visitati, un’anziana signora che – avendo appreso del terremoto che ha devastato pochi giorni fa l’isola di Haiti - alla fine della celebrazione si avvicina al missionario e gli dona una modestissima somma di denaro raccolta tra la gente del villaggio: ” da inviare” - dice - ” agli sfortunati fratelli colpiti dal terremoto”.
Qui capisco davvero quanto sono grandi tra i più poveri i sentimenti di solidarietà e di fraternità !...
 

(segue)