di LORENZA COLICIGNO 
Se si parte dal presupposto che il mistero fa bene al turismo, nulla di male ad infittirlo nel tentativo di svelarlo. E proprio quello che accade con il tema dei Templari in Basilicata, regione dalle grandi basiliche, cui deve il nome, e dai pochi abitanti, ieri come oggi, elemen- to questo che, insieme alle date di fondazione, ai simboli impressi su colonne e mura, alle torri ottagonali, alle reliquie o presunte tali, fa ipotizzare celebrazioni e riti solenni in occasione del passaggio dei crociati e investiture di cavalieri, insomma avvalora la presenza diffusa e del tutto rimarchevole dei Templari in Basilicata. Dalla documentazione architettonica e d’archivio al gioco sfrenato dell’immaginazione il passo è breve, percorso legittimo, del resto, in ambienti di grande fascino e mistero come sono quelli della Basilicata, terra magica, come la definì De Martino, coinvolta in un vero e proprio tour dei Templari, che abbraccia la ricerca di interpretazione di documenti, come inun convegno tenuto a Vaglio nel 2007, sfilate-rievocazione di eventi storico-leggendari, come a Forenza, manifestazioni sportive, come a Banzi le «6 ore dei Templari», la sagra della cucina medievale «Lucania, Terra bianca e di Templari... aspettando Federico II di Svevia» a Palazzo San Gervasio.
Strano destino quello dei Templari, ordine diventato molto potente e ricco da «povero » quale doveva essere - all’origine il nome era «Pauperes commilitones Christi templique Salomonis», che nel giro di soli due secoli bruciò tutto il suo potere, l'origine dell’ordine risale tradizionalmente agli anni 1118-1120, successivi alla prima crociata (1096), quando le strade della Terrasanta infestate da predoni spinsero alcuni cavalieri a fondarne il nucleo originario, con il compito di difendere i pellegrini che visitavano Gerusalemme, ufficializzato il 29 marzo 1139 dalla bolla Omne Datum Optimum di Innocenzo II, fu definitivamente dissolto tra il 1312 e il 1314 dopo un processo, che segnò la condanna al rogo dell'ultimo maestro Jacques de Molay e di Geoffrey de Charnay, su un’isoletta sulla Senna a Parigi, davanti alla Cattedrale di Notre Dame, il 18 marzo 1314. Ma se sulla fine dell’ordine dei Cavalieri Templari la Francia mantiene saldamente il suo ruolo, non altrettanto accade per le origini, infatti se la tradizione l’attribuisce al Hugues de Payns o de Pains (Payns, c. 1070 – Palestina, 1136), la scarsità di notizie sulla sua vita, come sulle origini e sul primo periodo dell'Ordine, lascia spazio alla tesi dell'origine italiana del fondatore, sostenuta già tra il XVI e XVII sec.; nel 1983 Domenico Rotundo, in Templari, misteri e cattedrali (Ed. Templari, Roma), indica il fondatore in Ugo dei Pagani, in base ad una lettera che questi scrisse nel 1103 da Gerusalemme allo zio Leonardo Amarilli di Rossano per comunicargli la morte del proprio figlio Alessandro, nella quale si legge: «ho scritto a mio padre in Nocera che mi faccia gratia venire a Rossano per consolare V.S. et a Madama Zia Hippolita». Nel 2005 Mario Moiraghi in «L’italiano che fondò i Templari. Hugo de Paganis, cavaliere di Campania» (ed. Ancora, 2005), sostiene la tesi che il fondatore dell’ordine del Tempio sarebbe lucano, di Forenza, figlio dei signori di quella città Pagano (o Sigilberto) ed Emma de Paganis, nobili salernitani trasferiti in Lucania; Moiraghi inoltre sostiene anche che l’ordine Templare non fu fondato nel 1118, ma appena agli inizi del 1100, sulla base della stessa lettera citata dal Rotundo. Se dal punto di vista storico questa notizia andrebbe certamente approfondita, dal punto di vista «campanilistico » non ha lasciato dubbi nei lucani, soprattutto quando nel giugno 2006 ne ha parlato Repubblica Viaggi, che ha dato anche il via alla spasmodica ricerca del Graal in Basilicata; la notizia dell’origine lucana del fondatore dei Templari è stata poi ripresa nell’agosto dal Sole 24ore Sud, incrementando ulteriormente la sindrome dei Templari sul nostro territorio. Non ci stupirà allora sapere che esiste un gruppo Facebook «Basilicata terra di Templari Sosteniamo la tesi di Moiraghi».
Fonte: www.lagazzettadelmezzogiorno.it