Dopo trent'anni d'attività Dicristo andrà in pensione«Dalla lanterna all'acetilene: ora ci sono le macchine»

BARLETTA - Da quasi trenta anni guarda il mare. Era il 1981 quando Antonio Dicristo lasciò i gradi di sottufficiale della Marina militare per diventare guardiano del faro. E da allora, non si è mai stancato di ascoltare le onde. Prima a Punta della Maestra (vicino Rovigo), poi a Capo Palinuro (nel Cilento) e, infine, a Barletta. Città che lo ricorderà come l’ultimo farista. Perché quando andrà in pensione - tra quasi quattro anni - nessuno prenderà il suo posto come custode del faro costruito nel porto alla fine degli anni Cinquanta. La tecnologia ha avuto la meglio: l’automatizzazione dei congegni elettronici che muovono i fari, ha reso quasi superflua la sua figura. «È un peccato. Essere
il guardiano del faro regala molte emozioni», confessa Dicristo, 57 anni, originario di Palazzo San Gervasio. «In passato la vita da farista era molto più dura», continua. «Il trasporto di viveri e combustibile e i lavori di manutenzione erano mansioni molto faticose. Oggi è tutto più semplice». Non c’è neppure bisogno di avere qualcuno con cui darsi il cambio. «Quando iniziai a lavorare al faro di Punta della Maestra - racconta con una punta di nostalgia - ogni quattro ore, c’era bisogno di una nuova ricarica per garantire l’illuminazione e di notte c’erano i turni alla lanterna. Poi è arrivato il gas ad acetilene: bisognava garantire il controllo della vegliosa, la fiamma pilota. La corrente elettrica è arrivata solo negli anni Ottanta con un gruppo elettrogeno, tanto rumoroso da impedirti di dormire».

Quando ha scelto di vivere a stretto contatto con il mare, a molti è sembrato strano, viste le sue origini montanare. «Ma io ho sempre amato il mare», sottolinea. E dopo tanti anni, il suo ondeggiare lo affascina ancora. «Ogni mattina da quassù, provo le stesse emozioni del primo giorno», dice Antonio Dicristo che si occupa anche del faro Torre Preposti, a pochi chilometri da Vieste. Per capire le sue sensazioni, bisogna entrare nella pancia del gigante che conforta i marinai, salire i 150 gradini della stretta scala a chiocciola e annusare il vento che soffia inquieto: la magia, a tanti metri da terra, è difficile da descrivere. «Mi mancherà curarlo, ormai fa parte di me», sussurra quasi commosso Antonio che vive in una casa a 300 metri dal faro. Sul tetto di quell’abitazione c’è un altro faro, più piccolo, costruito nel 1806 che è rimasto inutilizzato dal 1956, anno di costruzione del nuovo faro tutt’ora in funzione. Un vero gioiello di epoca napoleonica. «Ho chiesto più volte che si recuperasse, ma nessuno mi ha ascoltato e ora rischia il degrado».

Essere un farista vuol dire sbrigare anche pratiche d’ufficio, compilare registri e smistare la posta. Ci sono molte responsabilità: «Controllare che la luce resti accesa nella notte è fondamentale per aiutare chi è in mare», chiarisce Antonio mentre sorseggia il caffè preparato da Filomena, sua moglie. Anche lei col tempo, ha imparato ad amare la vita nel faro. «Quando ci siamo sposati - afferma - trasferirsi alla foce del Po fu un incubo: la nebbia, il continuo rumoreggiare delle canne e il freddo erano insopportabili». Con gli anni, quei suoni sono diventanti normalità. E il faro, indispensabile. Tant'è che anche sul frigorifero, nella cucina in legno scuro, c'è un magnete che lo riproduce. «Vivere in un faro è bellissimo», ripete Antonio. Ma essere una sentinella del mare ha significato tanta solitudine. «Ci si abitua anche a quella», osserva Filomena, che ha cresciuto i due figli tra onde e lampi di luce. A loro dispiace sapere che, tra quattro anni, più nessuno ammirerà e amerà - silenziosamente - l’infinito del mare.
Fonte: corrieredelmezzogiorno.corriere.it