L’eco della visita in Tunisia di Berlusconi e di un possibile rimpatrio hanno acceso il clima all’interno del campo di accoglienza di Palazzo. Tutti i 520 immigrati hanno deciso di attuare uno sciopero della fame e della sete come forma di protesta. Con striscioni e slogan hanno espresso la loro preoccupazione. Il loro terrore: «Tornare in Tunisia uguale morte». Digiuneranno fino a quando non avranno la certezza di restare, o meglio, di poter proseguire il loro viaggio, dal momento che la maggior parte dei tunisini guarda al nord, alla Francia e alla Germania.
Intanto serpeggia un interrogativo: se in Basilicata dovessero arrivare altri migranti, riuscirebbe a contenerli la struttura di Palazzo San Gervasio? La domanda è legittima, così come scontata è la risposta: accogliere una nuova ondata di tunisini sarebbe difficile, per il campo della cittadina dell'Alto Bradano lucano, dove ad oggi ne sono ospitati oltre 500. A meno che, non si voglia peggiorare le condizioni di vita degli immigrati, che già si sentono chiusi in gabbia non avendo la possibilità di circolare liberamente. Ma in tutto questo, potrebbe entrare in ballo la città di Melfi. Secondo un'indiscrezione - che non ha avuto ancora conferme in via ufficiale - il Ministero avrebbe già individuato una seconda struttura dove ospitare altri gruppi di immigrati: l'ex carcere di Melfi. Si tratta di un grande e vecchio edificio, che era stato sede del carcere ma anche di un ospedale, anni addietro. La struttura si trova in pieno centro storico, a qualche centinaio di metri dal monumento detto Porta Venosina, dalla Cattedrale e dal Castello federiciano. In base a quanto si è appreso, alcuni funzionari ministeriali avrebbero preso informazioni, a livello regionale, sulle condizioni dell'edificio melfitano, affinché possa essere utilizzato in caso di necessità.

Si tratta, naturalmente, soltanto di un'ipotesi, ma pare che a via Anzio, sede della Regione Basilicata, qualcuno abbia storto il naso. E potrebbe esserci malcontento, naturalmente, anche tra la popolazione melfitana, qualora la soluzione dovesse essere imposta dall'alto per far fronte all'emergenza migranti. L'edificio dell'ex carcere, comunque, pur se deteriorato dal trascorrere degli anni, è abbastanza grande ed esteso. E soltanto nei prossimi giorni, capiremo se c'è la reale intenzione di utilizzarlo per far posto ai profughi. Intanto, rimanendo in tema di accoglienza, dall'altra parte della Basilicata sta facendo progressi il progetto della Fondazione Città della Pace, che ha l'obiettivo di «realizzare una struttura in grado di accogliere, in modo non episodico, i bambini e le relative famiglie che provengono dalle aree di guerra, garantendone l'integrazione nel tessuto socio economico della comunità regionale». In questi giorni, è stato pubblicato un avviso pubblico per la realizzazione di un logo della Fondazione, «che ne sappia rappresentare e porre in evidenza la filosofia» (le domande di partecipazione dovranno essere inviate entro il 29 aprile all'Apofil di Potenza, ndr.).

La Fondazione, presieduta dal premio nobel Betty Williams, è costituita dalla Regione Basilicata, dal World Centers of Compassion for Children e dai Comuni di Sant'Arcangelo e Scanzano Jonico. Nei due centri, uno del potentino a l'altro del materano, è prevista «la realizzazione di due poli di accoglienza, che dovranno garantire assistenza, istruzione ed educazione, ai minori che vivono in condizioni di disagio sociale o pericolo a causa di disastri ambientali o conflitti armati, favorendo al tempo stesso l’integrazione sociale delle loro famiglie». La Fondazione è stata istituita partendo dalla convinzione che «l’accoglienza, l’integrazione e la solidarietà siano valori sociali ed economici oltre che etici».

«Il perseguimento di tali valori - fa sapere la Fondazione - non è considerato utile solo alle persone che hanno bisogno di sostegno provenendo da aree di disagio, ma è anche utile a qualificare il territorio che accoglie, per la sua capacità di proporsi come contesto favorevole per sviluppare progetti innovativi, e come ambito dove la pace e la convivenza multiculturale sono posti concretamente alla base dei rapporti sociali, e sono considerati strumenti per il progresso di ciascun individuo e per una crescita sostenibile della collettività».