Non più un uomo di David Maria Turoldo.
Ma ora che sei morta, o madre,io so le volte che mi hai generato.
In silenzio, non vista d'alcuno.
Quando nato appena
a farti male iniziai, a rompere
con sassi il giuoco sulla piazza
tu mi rimettevi dentro il seno
a concepirmi ancora.
Bello mi volevi, uguale
al figlio di Maria.
E quando dalla casa dura vicenda
e la tavola vuota di pane
spingeva i fratelli ad andare,
o la morte li mieteva indifesi
per povertà inaudita,
nuovi chiodi noi tutti
e Iddio insieme conficcavamo
alle tue mani sì che esile ormai
da tanti anni pendevi ai nostri occhi.
Tu per questo non piangevi.
Un pianto invece ti straziava
quando il freddo e la fame
ci rendeva astiosi e con canne
di granturco e vincastri di palude
ci dovevi scaldare la poca minestra
e la casa nera di fuliggine:
una casa senza vetri aperta alle nevi
e alla bora che galoppava dal mare.
Per questo tu piangevi,
se la sera non dicevamo le preghiere
con tutti i morti del paese
che allora tornavano per l'orto
e circondavano il focolare e la mensa
o sedevamo alle scale.
Così, o madre, non più un uomo hai partorito.
Ormai non solo i tuoi figli sono
ma tutto il popolo.
E tu vestita a festa
e sempre all'ultimo banco
da lassù ti vedo quando
allargo sulla gente le braccia,
tu ancora continui a generarmi
in perfetta verginità e pianto.